Rinforzi strutturali: come funzionano?
Il patrimonio edilizio nazionale, di cui fanno parte sia gli edifici storici monumentali sia le abitazioni dei piccoli e medi centri urbani appartenenti all’edilizia minore, è per la maggior parte costituito da costruzioni in muratura in pietra o in mattoni, molte (troppe) soggette a fenomeni di degrado e di dissesto. Tra le cause si annoverano gli eventi sismici, l’incuria ovvero la mancanza di una manutenzione sistematica, la vetustà, l’aggressione ambientale e gli interventi antropici. Questi ultimi, in alcuni casi, anche a causa delle carenze di indicazioni a livello normativo, modificano in termini peggiorativi il comportamento strutturale originario dell’edificio, e sono irreversibili (si pensi ad esempio alla sostituzione dei solai e dei tetti in legno con strutture in latero-cemento o all’uso di intonaci armati in Umbria e nelle Marche in seguito al terremoto del 1979, che hanno portato a gravi effetti fuori piano, del tutto inaspettati nel successivo terremoto del 1997). Le norme attualmente vigenti ha fatto numerosi passi in avanti, assegnando alla conoscenza del bene (in termini di tipologia, morfologia, materiali) un passaggio imprescindibile per una corretta analisi del manufatto e per la scelta dell’intervento più appropriato, da eseguirsi nella logica del “miglioramento” per quanto riguarda gli edifici esistenti. Lo studio dell’edificio può essere caratterizzato da diversi livelli di approfondimento, a seconda del tipo e del numero di indagini, partendo innanzitutto dal rilievo geometrico. Si procede con l’analisi della vulnerabilità, ovvero della propensione al danno in occasione di un evento sismico, per la quale è possibile adottare due metodologie: l’analisi locale dei meccanismi di collasso, che consiste in valutazioni sulla stabilità di macroelementi, ovvero di porzioni di muratura che presentano un comportamento strutturale unitario, e l’analisi globale, in cui si considera che la struttura abbia un comportamento d’insieme. Gli edifici esistenti in muratura non sono tuttavia quasi mai in grado di consentire l’applicazione delle comuni procedure statiche equivalenti, che presuppongono un comportamento scatolare della struttura e un legame elasto-plastico del materiale, per cui è preferibile utilizzare l’approccio dell’equilibrio dei macro-elementi, considerando innanzitutto i meccanismi fuori piano, e poi quelli nel piano, meno gravosi. In seguito all’analisi del grado di vulnerabilità, si passa all’individuazione degli interventi, da valutarsi nel quadro generale della conservazione della costruzione, compreso il funzionamento strutturale, e, nella fattispecie, devono essere il meno invasivi possibile, compatibili dal punto di vista chimico, fisico, meccanico, riconoscibili e realizzati con materiali e tecniche attuali, reversibili, durevoli, tali da non alterare in modo significativo l’originale distribuzione delle rigidezze nei vari. L’esecuzione di interventi su porzioni limitate dell’edificio è comunque permessa e giustificata nel quadro di una visione d’insieme, tenendo conto degli effetti della variazione di rigidezza e resistenza degli elementi.